Cassino, Bruxelles e gli europeisti che rischiano di non andarci, in Europa

Sommati hanno un 8% ma loro sono divisi, e paradossalmente sono quelli che più di tutti hanno una visione europeista. Che potrebbe non bastare a vantaggio di Tajani

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Non è una cosa così, tanto per citare qualche nome tra quelli che correranno alle Europee di giugno nella circoscrizione dell’Italia Centrale. No, è un modo per mettere subito in chiaro una cosa: i due Partiti più rappresentativi dell’europeismo “storico” non hanno messo in casella nomi qualunque. Italia Viva di Matteo Renzi ad esempio schiera l’avvocato Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione delle Camere Penali. Ed Azione di Carlo Calenda punterà su Vincenzo Camporini, generale, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Militare.

Su lui e su Alessio D’Amato, ex assessore alla Salute della Regione Lazio; uno che, tanto per ricordarlo, dalla Pisana al Covid glielo aveva fatto così. E che in questi giorni si è fatto approvare in Regione una mozione sul “trattamento minimo inderogabile di nove euro l’ora nei contratti di appalto di lavori della Regione Lazio.

Quei sondaggi che non mentono

Carlo Calenda e Alessio D’Amato (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Eppure c’è un paradosso che incombe ed è quello per cui i partiti più “cardinali” per vocazione europeista, quelli per intenderci “più draghiani di Draghi”, rischiano di non farcela.

I sondaggi, anche se basculanti, dicono che le due formazioni potrebbero avere in sommatoria un 8% che dice tutto. Lo dice perché Italia Viva ed Azione (con sodali annessi) non correranno affatto insieme. Perciò dovranno spartirsi quell’8% giusto sul filo della tagliola di un quorum al 4%, roba grama e da naufraghi sull’isola con una sola noce di cocco.

Il guaio è che per giugno ci sono due piani su cui quei Partiti agiscono: quello locale, con Regionali (in Piemonte) ed amministrative, e quello Ue. E se con i primi due essere battitori liberi forse paga in termini di verve centrista ed alternativa solida, a Bruxelles quegli squilli di tromba da Settimo Cavalleggeri non pagano.

La splendida solitudine a Cassino, forse

Enzo Salera

Prendiamo Cassino ad esempio. Lì a fine marzo la Federazione provinciale di Azione aveva annunciato graniticamente che “in vista delle elezioni comunali dell’8 e 9 giugno prossimo, Azione sarà presente con una sua lista”.

Lista “aperta ai cittadini che vogliono contribuire direttamente a costruire il futuro di Cassino”. Roba che bascula tra splendida solitudine dunque ed “Enzo Salera stai sereno”, nell’accezione renziana contro quel poveretto di Enrico Letta però. E dove magari “Renzi” lo farebbe in ipotesi una calendiana, l’ex assessore Barbara Alifuoco, che però pare abbia una sorpresa in serbo per questi giorni.

Poi giù di ricetta local, roba che, al di là della sua attuabilità o meno, è tutto sommato roba facile da squadernare in intento. “Abbiamo l’idea di una città inclusiva, che stimoli il mondo produttivo e commerciale, che dia una prospettiva di dignità a chi ha un lavoro ed a chi non lo ha. Che dia aiuto ai giovani nel costruire il proprio percorso di vita, che dia sostegno alla terza età. E che faccia sentire le periferie partecipe della vita cittadina, che riporti Cassino ad essere il punto di riferimento del Lazio meridionale”.

Ballottaggi e ritorni di smalto

Mario Draghi

Tutto condivisibile perché onesto. E soprattutto non spalmato su un setaccio proporzionale che però in Europa ti obbliga non solo a dire cosa farai, ma ad allearti con terzi se vuoi farlo davvero. Perché lì, a Bruxelles, non è in scenario un ballottaggio nel quale all’improvviso il tuo tot percento diventa importante, a volte determinante, e te riprendi smalto.

In Europa è diverso, e si creano paradossi. Come quello per cui i partiti che più di tutti hanno la faccia aquilina di Mario Draghi in vessillo rischiano di ammainare bandiera e faccione.

Il meccanismo non è solo legato alla logica stringente dei numeri, ma ha un “upgrade” più solido. E’ quello per cui ci sono centristi pionieri che invitano a costruirlo, il centro, e ci sono quegli altri centristi là. Quelli che al centro già c’erano dai tempi di Milano 2 e di Telenord. E che oggi hanno rinverdito il giardino della classe media spiegando che non c’è bisogno di cambiare casa perché quella casa c’era già.

La man bassa che farà Tajani

Antonio Tajani al Consiglio Nazionale di Forza Italia (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Centristi scafati, saggi e poco urlatori come Antonio Tajani, che ha ridato al Forza Italia del dopo Cav un tale nerbo da “acchiappo” che rischia di calamitare tutto il cucuzzaro. D’altronde si sa, gli italiani sognano di essere il Corvo ma lo fanno solo sui social e dal divano comprato a rate della casa del Mulino Bianco. Ecco perché, come ha spiegato un ottimo pezzo dell’Huffington Post a firma di Stefano Folli, il “Partito di Draghi” rischia di affondare prima ancora che Draghi sappia che c’è un Partito che opera nel nome del Draghi-pensiero.

E tutto sommato è un peccato, perché al di là delle ricette singole è indubbio che gente come Emma Bonino, Carlo Calenda, il suo saggio organizer Ettore Rosato e Matteo Renzi parla di Europa meglio e da prima di tutti. E lo fa con la puntualità, la competenza e le rotte sicure di chi non è novizio. Come quei vecchi rocchettari che si sono ammazzati le tasche sui dischi dei Deep Purple e che grigi di pelo sono costretti a vedersela coi pischelli che sbavano per i Maneskin.

I conti spiccioli e il rischio vero

Emma Bonino (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

Folli fa due conti: “Il patto tra Emma Bonino e Matteo Renzi avrebbe, secondo i sondaggi tra il 4,5 e il 5 per cento. Non pochissimo, considerato che si vota col sistema proporzionale. Ma non abbastanza per essere sicuri di superare la soglia del 4 per cento, obbligatoria per partecipare alla divisione dei seggi”. (…) E l’altra formazione che s’ispira a un saldo europeismo, cioè Azione di Carlo Calenda, è data già ora in bilico sul famoso 4 per cento. (…)”

“In altre parole, due gruppi che raccoglierebbero, se si presentassero uniti, circa l’8 per cento, magari qualcosa di più, rischiano di disperdere una posizione cruciale. Poi il ruttino amaro dopo un pasto sgradevole: “Tra l’altro sono i soli che fin qui hanno affrontato la campagna parlando di Europa. Dei suoi limiti, di quello che servirebbe per superarli.

Liberal-democratici da sempre, ma non basta

E’ verissimo e il paradosso sta tutto qui. Ci sono partiti, donne, uomini e mentalità che rimandano ad una visione liberal-democratica affinata da cento battaglie. Tuttavia ci sono anche regole e dinamiche che potrebbero tenerli fuori da ciò che conoscono meglio di tutti. Le frizioni, i duelli, le “Leopolde” e le casse comuni hanno deteriorato prima ancora della nascita del centro, ed in chiave nazionale questa si chiama “dialettica”.

Ma quando si parla di Europa, di questa Europa qua sono guai. Perché quella uscita dalle urne di giugno sarà un’Europa che dovrà arginare i sovranismi, gestire due guerre, elezioni chiave all’estero, atlantismo senza novantagradismi. E poi il mercato, l’energia, il green, i migranti, la difesa, i vari patti di stabilità, l’AI, Cindia e le banche.

Piatto servito ai sovranisti

Tutta roba troppo complessa a cruciale per rischiare che vada in mano a mestieranti con l’acido nel piloro e la grancassa a tracolla. Gente che vuole imporre il cacio di fossa nei ristoranti o che dell’Europa ha sempre detto solo peste e corna. E quei numeri scarsi e miserelli rischiano di essere non solo un regalo a Tajani, ma anche a quelli che Tajani ed il Ppe li combattono da dentro.

Duramente e con sorrisi stirati. Quelli che al netto del loro diritto di farlo, sacrosanto, l’Europa la vedono come lo specchio fedele dei loro stomaci acidi. E che probabilmente, anche in buona fede, non la cambieranno mai in meglio.