Top e Flop, i protagonisti del giorno: 17 febbraio 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

LUCA FRUSONE

È in pole position per la nomina a sottosegretario alla Difesa. Lo scrive anche il Corriere della Sera. Il deputato di Alatri del Movimento Cinque Stelle è al suo secondo mandato ed evidentemente si muove alla perfezione nei meccanismi della formazione fondata da Beppe Grillo.

Luca Frusone

In particolare sa rimanere in silenzio e nell’orbita di Luigi Di Maio, capo politico vero. Non si fa quasi mai notare, nel territorio della provincia di Frosinone è quasi completamente assente sul piano dell’iniziativa politica, ad Alatri non tocca palla. Ma evidentemente in Parlamento gioca benissimo le sue carte.

Inoltre svolge puntualmente i suoi incarichi, specialmente nelle Commissioni. In una legislatura dove è successo di tutto, Luca Frusone rappresenta alla perfezione la parabola dei Cinque Stelle: entrati per ribaltare tutto, sono passati dall’alleanza con Matteo Salvini a quella con Nicola Zingaretti. E adesso sostengono il Governo di Mario Draghi, simbolo di quel potere che passa dalla politica all’economia, fino alla finanza.

Scaltro.

CLAUDIO DURIGON

Anche lui è in piena corsa per una nomina a sottosegretario. Al Ministero del Lavoro, dove è già stato all’inizio di questa legislatura. Firmando tra l’altro Quota 100. Ma stavolta il progetto è più ambizioso.

Il sottosegretario Claudio Durigon

Sì perché il deputato e coordinatore regionale della Lega si è detto certo che il Governo Draghi possa trovare buone soluzioni per il Paese e che vi possa essere un utile collaborazione tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando e quello dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, “per affrontare le varie crisi aziendali aperte e il tema della fine del blocco dei licenziamenti”.

In un’intervista a La Stampa, Claudio Durigon ha pure aggiunto: “Io non sono innamorato del nome “Quota 100” ma della sua ricaduta, che è ancora più necessaria in questo periodo di Covid. Non c’è dubbio che non si possa tornare alla Fornero e ci sia bisogno di forme di flessibilità in entrata e in uscita dal mondo del lavoro. Troveremo anche qui strumenti adeguati: ci si siede attorno ad un tavolo con i sindacati e si discute”.

Il riferimento ad un punto di caduta tra Orlando e Giorgetti fa capire l’obiettivo: una nomina a sottosegretario al ministero del Lavoro farebbe di Durigon una specie di anello di congiunzione tra i settori più importanti di questo esecutivo sul piano sociale e del rilancio.

Pennellata.

FLOP

MATTEO ORFINI

Chiede il congresso del Pd, senza porsi la questione che non ci sono le condizioni per celebrarlo (siamo in piena pandemia) e che in ogni caso Nicola Zingaretti lo vincerebbe. (Leggi qui Zingaretti uscirebbe rafforzato da un Congresso. Ma non si può).

Poi aggiunge: “Siamo parlamentari del Pd. Pensiamo a rilanciare l’iniziativa del Pd e a farlo uscire da questa assurda subalternità. Intergruppi che guardano al passato hanno davvero poco senso. Pensiamo semmai al futuro”. Il riferimento è all’intergruppo creato al Senato tra Pd, Cinque Stelle e Leu. Su iniziativa di Nicola Zingaretti.

Matteo Orfini (Foto: Imagoeconomica / Stefano Carofei)

Ora, vale la pena ricordare che Matteo Orfini è stato presidente del Pd, negli anni in cui Matteo Renzi dominava come segretario. Nel 2019 Nicola Zingaretti è stato eletto segretario di un partito marginale, isolato e fuori dai giochi. E questo perché la leadership precedente (Orfini era uno dei massimi protagonisti) aveva perso rovinosamente le elezioni politiche del 2018, nello stesso giorno in cui Zingaretti vinceva nel Lazio.

Non solo: quel Pd aveva già perso prima il referendum, le comunali e le regionali. Zingaretti ha riportato il partito al centro dello scacchiere politico nazionale. Facendolo tornare al Governo dopo pochi mesi e nonostante la sconfitta del 2018.

Parlare di subalternità ai Cinque Stelle è un luogo comune usato dagli avversari politici. Magari Matteo Orfini potrebbe ricordare da dove il Pd di Zingaretti è partito e dove sta ora. Ma pure in quali condizioni era… prima.

Smemorato.

VITO CRIMI

Alla vigilia del voto di fiducia più importante degli ultimi decenni, Vito Crimi, capo politico del Movimento Cinque Stelle (Partito di maggioranza relativa in Parlamento), ha rilasciato questa dichiarazione: “Il M5S voterà sì al governo Draghi, ogni altro voto sarà considerato in dissenso dal gruppo. Non sarà una fiducia in bianco ma vigileremo e combatteremo sulle cose che non andranno bene”. 

Vito Crimi (Foto Livio Anticoli / Imagoeconomica)

Ha aggiunto: “Abbiamo risposto all’appello del presidente Mattarella, un appello a tutte le forze politiche, a mettere da parte le divisioni, le legittime aspirazioni, in nome di un’unità necessaria ad affrontare con maggiore serenità il momento emergenziale”.

Allora: i Cinque Stelle votano sì. Chi non lo fa, è in dissenso. Verrà espulso? Non si sa. Negli anni scorsi dal Movimento sono stati espulsi parlamentari che si erano recati a trasmissioni televisive senza aver chiesto il permesso. La fiducia non è in bianco. Cosa vuole dire? Che il Movimento si riserva il diritto di poter cambiare idea? Probabilmente sì, ma questo non è certo il modo migliore per iniziare un percorso di salvezza nazionale.

La realtà è che il Movimento Cinque Stelle è divorato delle divisioni e Vito Crimi vuole lasciare le porte aperte a chi non è d’accordo. Forse però in determinati momenti occorrerebbe il coraggio dell’impopolarità.

Piede in due staffe.