Leodori innesca l’Effetto Schlein sul Pd del Lazio

Cosa sta accadendo nel Pd del Lazio. Come si leggono le mosse delle ultime ore. La strategia Leodori. L'avvicinamento al M5S. La sottile vendetta.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

L’effetto Elly Schlein è già nel Lazio. Basta analizzare al rallentatore il filmato con la cronaca della seduta d’insediamento del Consiglio Regionale registrato lunedì. Nella strategia d’Aula messa in campo dal Partito Democratico ci sono già le linee dettate dal nuovo corso. (Leggi qui: Benvenuti nella nuova Regione Lazio: è qui la I Repubblica).

Per vedere quelle linee e capire dove portano bisogna tornare indietro di qualche ora. Venerdì il Pd del Lazio è ancora in gramaglie, orfano all’improvviso del Segretario Regionale Bruno Astorre: pilastro ed architrave di un equilibrio politico diventato instabile nell’ultimo anno. Lo scricchiolio più grande è stato la mancata candidatura del suo delfino Daniele Leodori alla guida del Campo largo regionale creato con Nicola Zingaretti; la contromossa è stata l’asse costruito in Campidoglio che a gennaio ha bussato alla porta del sindaco Roberto Gualtieri. (Leggi qui: Regionali, in Campidoglio patto di ferro Areadem – Zingarettiani).

Nicola Zingaretti e Daniele Leodori

Storia di alleanze, intrighi, patti che vengono stretti e poi sciolti nell’eterno gioco di equilibri tra poteri che è la politica. Fu il patto tra Zingaretti – Astorre e Pensare Democratico di Francesco De Angelis quattro anni fa a spianare la strada della Segreteria Regionale all’uomo di Area Dem al quale venerdì è stato dato l’estremo saluto. Un patto che ha determinato la sconfitta Claudio Mancini e dell’area dei post renziani romani, allo scorso congresso Regionale.

I nuovi scenari hanno cominciato a prendere forma un anno fa: i patti per la candidatura in Regione, le garanzie per i seggi a Montecitorio e Palazzo Madama. Nuovi obiettivi, nuove strategie, nuove alleanze. Nelle quali Bruno Astorre era un gigante.

La prima dopo la nuvola

La bara partiva dal campo sportivo di Colonna sulle note de L’Arcobaleno di Adriano Celentano e tutti i colonnelli di tutti i fronti si ponevano tra loro la stessa domanda: chi governa ora il dibattito, chi garantisce ora gli equilibri. (Leggi qui: L’ultimo arcobaleno per l’addio a Bruno Astorre).

Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica

Si arriva alla prima riunione del Gruppo del Partito Democratico in Regione Lazio. Si tiene domenica. A ridosso dell’Assemblea Nazionale alla Nuvola di Fuksas, dove Elly Schlein è stata acclamata Segretario Nazionale e Stefano Bonaccini presidente. Soprattutto, nella nuvola è stato tracciato un solco che ha tutte le forme dell’unità: lo dicono i dispositivi approvati, la creazione del coordinamento dei sindaci (faceva parte della mozione Bonaccini), i nomi approdati in Direzione nazionale.

Basta vedere il listone unitario votato all’unanimità per la nuova Direzione. Ci sono i nomi di tutte le sensibilità: c’è Enzo Foschi (sul quale puntano in molti per il ruolo di Segretario Regionale) e Michela De Biase con Daniele Leodori. C’è Claudio Mancini che sta sull’altro fronte, con Roberto Morassut e l’ex assessore regionale Massimiliano Valeriani che già lunedì ha acceso le polemiche con il suo post sulle “tante figure nere di fascistoide memoria, gongolanti e con sorrisi beffardi” viste in Aula con il centrodestra al timone della Regione. (leggi qui: Nella nuvola di Fuksas il nuovo asse Pd a Frosinone e le primarie per Latina )

C’è spazio per i movimenti rappresentati da Marta Bonafoni che piazza Valeria Campagna di Latina e Danilo Grossi di Cassino. C’è Pensare Democratico di Francesco De Angelis e della vice Segretaria regionale Sara Battisti che indicano Eleonora Campoli assessore alle Politiche Sociali a Paliano. (leggi qui: Il percorso di rigenerazione Pd che passa per Valeria).

La prima senza Bruno

Mario Ciarla (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

A ridosso di un’Assemblea Nazionale che traccia la rotta della nuova via si riunisce il Gruppo eletto in Regione Lazio. Per la prima volta senza l’uomo della sintesi. Quell’assenza e quell’Assemblea creano un clima diverso dal passato: quasi per osmosi ora c’è l’intento condiviso di costruire l’unità anche dentro il Gruppo regionale.

Primo nodo da affrontare: gli incarichi che competono alle minoranze in Regione Lazio. Da lì a poche ore bisognerà assegnarli. Ed occorre una strategia unitaria. Sulla formula da seguire non ci sono dubbi: Daniele Leodori è l’uomo che più di ogni altro rappresenta la stagione del centrosinistra di Zingaretti in Regione. Per questo tutti gli chiedono di essere lui a scegliere il ruolo che intenderà svolgere. Glielo chiedono a prescindere dal fatto che sia il più votato.

Leodori sceglie di fare il vicepresidente d’Aula. È il segnale che voglia raccogliere l’eredità politica di Astorre e le redini regionali del Pd. Perché è un ruolo molto meno impegnativo del Capogruppo, che è oltretutto il più prestigioso.

Il punto di svolta

Luciano Nobili (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Secondo nodo: il posto in Ufficio di Presidenza, come Segretario d’Aula che compete alle opposizioni. Qui la tradizione viene in soccorso. La prima casella d’Aula per le opposizioni è la vicepresidenza, l’ha rivendicata Leodori in quanto il Pd è il Partito che nella coalizione sconfitta ha preso più consenso. La seconda casella spetta alla seconda forza.

Chi è la seconda forza? Nella coalizione Progressista è il Terzo Polo Renzi – Calenda che ha eletto due Consiglieri ed entrambi renziani. Ma la politica non ha mai una sola chiave di interpretazione: tutto è relativo. Volendo, la seconda forza potrebbe essere il Movimento 5 Stelle. Perché? I renziani facevano parte della coalizione con il Pd, i pentastellati formavano un’altra coalizione.

Viene sollevata la questione: si apre il dibattito. C’è chi ha l’orticaria appena si nominano i grillini: ricorda che sono stati loro a consegnare il Lazio al centrodestra, rifiutando un’alleanza che in estate era già fatta e stringendola invece in Lombardia; cercando una candidata usa e getta che è durata solo il tempo delle elezioni.

Innesco Leodori, Effetto Schlein

Valerio Novelli (M5S) Foto © Stefano Carofei / Imagoeonomica

Ma c’è chi ricorda che c’è appena stata la riunione alla Nuvola. Ed ora il Pd ha una nuova rotta: il dialogo con il mondo pentastellato. Daniele Leodori sostiene che a scanso di equivoci va sondato il Segretario nazionale. È andata che il Pd ha eletto il pentastellato Valerio Novelli, scatenando le ire di Luciano Nobili e dei renziani.

In realtà è una mossa molto più sottile e raffinata quella messa in campo da Leodori. Che ottiene tre risultati. Il primo: esclude i renziani dall’Ufficio di Presidenza, restituendo la cortesia fatta a lui lo scorso autunno quando Calenda impose la candidatura di Alessio D’Amato silurando proprio Leodori. Il secondo: spiana un enorme ponte di dialogo con il cuore decisionale pentastellato del Lazio; perché Novelli è l’unico superstite della pattuglia grillina della scorsa Legislatura, uomo in sintonia con la ancora potentissima Roberta Lombardi che è stata assessore M5S con Zingaretti; in dialogo con Valentina Corrado, secondo assessore ed oggi coordinatore regionale grillino. Il terzo: Leodori ora ha un canale diretto con la Segreteria nazionale.

Alessio D’Amato decide di compiere a sua volta un gesto di generosità politica: resta nel gruppo Pd, non farà rivendicazioni, costituirà il gruppo autonomo in Aula. E darà battaglia per rivendicare i risultati raggiunti in questi anni dall’amministrazione che lo ha visto protagonista. Il segnale è che l’unità deve essere nelle azioni e non nelle intenzioni.

L’altra faccia della medaglia di Leodori

Sara Battisti

Ma ogni medaglia ha un lato opposto. Il rischio è quello di avere per la prima volta un Gruppo regionale poco autonomo rispetto alle dinamiche nazionali. Sul punto è stato chiaro Mario Ciarla (area Bonaccini): assicurando la piena autonomia del Gruppo e del Partito di Roma e del Lazio. Che va garantita e per certi versi anche ricostruita.

Altro rischio è quello di tagliare fuori i territori: il prossimo nodo è l’assegnazione delle due commissioni e dei due comitati di vigilanza che competono alle minoranze. In pratica: Commissione Vigilanza sul pluralismo dell’informazione e Commissione Trasparenza, presidenza del Comitato Regionale di Controllo Contabile e del Comitato per il monitoraggio dell’attuazione delle leggi.

Non si ripeterà il principio usato per l’Aula, non verranno divisi dandone due alla coalizione progressista e due ai grillini. No perché i pentastellati sono già stati salvaguardati con la Segreteria d’Aula.

Il primo problema: nessun incarico viene dato ai territori ma tutto viene preso da Roma. Secondo problema: rivendica un riconoscimento a Marta Bonafoni che nel Pd non è ancora tesserata, non fa parte del Gruppo, non può pensare di condizionare gli equilibri interni al Pd. Terzo problema: il risultato del Pd in tutte le circoscrizioni va osservato in termini di percentuali al Partito, in termini di preferenze, in termini anche di quel rinnovamento di cui Elly Schlein è interprete. E sul quale, parte della sua vittoria si è determinata.

La sintesi potrebbe venire dalla posizione che assume Mario Ciarla. La spiega nel suo discorso, subito dopo che viene indicato per l’ambito ruolo di guida del Gruppo Pd in Regione. Indica tre principi cardine: l’autonomia del gruppo, la necessità di un riequilibrio di genere dal momento che i primi due incarichi sono andati lui ed a Leodori; occorre anche un riequilibrio territoriale – ribadisce. Terzo: bisogna rivendicare il lavoro svolto, fare un’opposizione ferma, fare quadrato intorno all’amministrazione Gualtieri, a prescindere dalle sensibilità interne.

Tutto quello che accadrà nelle prossime ore è nelle mani di Mario Ciarla. Ora è una battaglia nel Partito. E per il Partito.