Top e Flop, i protagonisti del giorno: 27 febbraio 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

TOMMASO MIELE

Il fegato non gli manca. Non quello che sovraccarica con le sue disordinate abitudini alimentari. Fegato inteso come coraggio, ostinazione, capacità di continuare ad essere se stesso nonostante la certezza che proprio questo gli sia costato la nomina a presidente nazionale. Il giudice Tommaso Miele, presidente della Corte dei Conti del Lazio, ha inaugurato in queste ore l’Anno Giudiziario 2021. E nemmeno questa volta ha rinunciato a dire ciò che pensava. Bacchettando la politica.

Tommaso Miele

Senza mezze misure il giudice Miele ha detto che con la scusa del Covid e della normativa d’emergenza per assicurarsi forniture di tutto ciò che serve per contrastare il virus, in realtà si stanno creando zone d’ombra. Aree nelle quali «si sta introducendo una vera e propria irresponsabilità di quanti sono chiamati a gestire risorse pubbliche».

Alla politica non lo manda a dire:  «Meno che mai possono essere create sacche di vera e propria impunità per chi gestisce allegramente le risorse alimentate con il sacrificio dei cittadini».

E glielo dice proprio ora che stanno per arrivare i miliardi del Recovery Plan. Anzi, li avverte: “Non si può assolutamente abbassare la guardia nei confronti degli amministratori e dei funzionari pubblici che gestiscono risorse pubbliche».

Non basta. Ha rivolto un richiamo anche alla sua categoria, ricordando ai suoi colleghi magistrati che c’è in agguato il rischio del delirio d’onnipotenza: «un giudice non deve mai considerarsi estraneo al tormento di colui che e’ chiamato a giudicare».

Sa benissimo che se fosse stato solo un po’ malleabile oggi avrebbe avuto, con molta probabilità, un’esistenza più agevole. Lui, fondamentalmente, se ne frega. E continua a dire ciò che pensa. A costo di finire sotto il fuoco dei cecchini appostati sulla linea d’arrivo. Come la volta che per un solo voto non divenne Giudice Costituzionale, o la volta che rinunciò alla presidenza Nazionale della Corte.

NICOLA OTTAVIANI

Il 26 febbraio 2021 sarà un giorno “storico” per Frosinone anche in futuro. Il giorno in cui il Comune è diventato proprietario della propria sede a Palazzo Munari, splendido immobile di via del Plebiscito che ha ospitato per anni la filiale della Banca d’Italia.

La consegna delle chiavi della ex sede Bankitalia

Tra i tanti progetti che Nicola Ottaviani ha “firmato”, la sede municipale nel cuore del centro storico è quello più importante e maggiormente evocativo oltre che simbolico. Intanto perché Ottaviani riallaccia un filo della memoria del capoluogo. Pochissimi lo ricordano, ma dove adesso ci sono le Poste centrali una volta c’era la sede comunale. Ma l’importanza, l’imponenza, l’eleganza e l’autorevolezza di Palazzo Munari darà al Comune capoluogo un profilo mai avuto prima.

Infine, l’ubicazione strategica: a due passi dalla Prefettura, dalle Poste e dalla sede di Unindustria, vicinissimo all’ascensore inclinato. Possibile pure che in quel contesto a Nicola Ottaviani venga la voglia di affacciarsi dal balcone di… Palazzo Munari.

Petto in fuori.

FABRIZIO CURCIO

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha nominato Fabrizio Curcio capo del Dipartimento della Protezione Civile. Prenderà il posto di Angelo Borrelli.

Fabrizio Curcio (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Fabrizio Curcio torna dunque dopo tre anni alla guida della Protezione civile dove era stato dal 2015 al 2017, quando si era dimesso per motivi personali lasciando il posto a Borrelli, il cui mandato è terminato con la fine dell’esperienza del governo Conte. Corsi e ricorsi storici, incroci di destini, ma soprattutto cambio della guardia.

Mettere sotto controllo la pandemia è l’obiettivo primo e primario di Mario Draghi, l’uomo chiamato a salvare l’Italia. Romano, classe 1966, laurea in Ingegneria, Fabrizio Curcio nel 2007 è arrivato alla Protezione civile con Guido Bertolaso che lo chiamò come capo segreteria, per poi passare l’anno dopo a dirigere l’Ufficio Gestione delle emergenze, organo chiave del Dipartimento in prima linea nella gestione e nell’organizzazione della risposta alle emergenze che colpiscono il Paese.

Fabrizio Curcio ha una notevole esperienza, ma è chiaro che se dovesse riuscire a centrare gli obiettivi in questo particolare momento, allora nulla gli sarebbe precluso.

La partita della vita

FLOP

BUSCHINI E POMPEO

Ormai il copione è chiaro e prevedibile. Ad ogni riunione della Direzione del Pd e in qualunque tipo di occasione Antonio Pompeo mette l’accento sul fatto che i Democrat non sono il Partito Comunista Italiano, che occorrono politiche di inclusione e di coinvolgimento delle minoranze. Non disdegnando di far capire chiaramente che a lui non sta bene lo strapotere di Pensare Democratico di Francesco De Angelis. (Leggi qui Colpi di spillo nel Pd. Pompeo: “Non siamo il Pci”)

Inoltre Pompeo, leader di Base Riformista, pur senza dirlo chiaramente, non nasconde la possibilità di poter arrivare ad uno scontro frontale. In questo modo parla si “suoi” per spingerli al Centro.

Mauro Buschini invece non si muove dalla sua posizione: pieno sostegno all’azione di Nicola Zingaretti, frecciate alla minoranza interna di Antonio Pompeo, pieno allineamento con Francesco De Angelis.

Ma c’è la sensazione forte che in realtà ci sia pure un tacito gioco delle parti. I dualismi nel Pd solitamente portano bene ad entrambi i protagonisti. Senza scomodare Massimo D’Alema e Walter Veltroni, ci sono Francesco De Angelis e Francesco Scalia.

Per adesso però Mauro Buschini e Antonio Pompeo non sono riusciti nel duplice obiettivo di legittimarsi e blindarsi a vicenda.

Non è… Francesco.

PIER LUIGI BERSANI

È stato uno dei ministri più brillanti e “rivoluzionari” dei Governi di centrosinistra. Basti pensare che ancora oggi c’è il Decreto Bersani. All’Industria ha gettato le basi per cambiamenti che hanno fatto la storia politica degli ultimi decenni.

Pierluigi Bersani (Foto: Imagoeconomica, Paolo Cerroni)

Ma Pierluigi Bersani è stato anche uno straordinario segretario del Pd. Le elezioni del 2013, quelle che diedero vita al sistema tripolare (Pd, centrodestra, Cinque Stelle), in realtà le aveva vinte lui. E dopo di lui alla guida del Partito Democratico è arrivato Matteo Renzi. Dopo pochi mesi tutti hanno capito che in realtà i traguardi toccati dal Pd di Bersani sarebbero rimasti agli annali.

Infine, è stato il primo a capire che esisteva un percorso che avrebbe portato all’alleanza tra Democrat e Cinque Stelle. Però su questo punto Bersani “cadde”, per via dello streaming nel corso del quale non riuscì a contenere il populismo di Vito Crimi e Roberta Lombardi.

È anche per questo che si fatica a capire per quale motivo oggi Pierluigi Bersani non faccia che ripetere che Giuseppe Conte è una sorta di punto di riferimento per un nuovo centrosinistra. Conte sta per prendere la guida del Movimento. Come può il simbolo stesso della Ditta avere una simile folgorazione sulla via di Damasco?

Sindrome di Stoccolma.