Nazionalisti ma non troppo: i Fratelli d’Ue sganciati dalle destredestre

Cosa sta accadendo nel partito di maggioranza, i sintomi dal Frusinate e la certezza dall'Europa: Giorgia Meloni non può più essere mastina

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

C’è una doppia narrazione che ormai da tempo contraddistingue lessico ed operato di chi milita nel Partito di maggioranza relativa ma “tosta” in Italia. Non poteva essere altrimenti e non solo per quelle che via via sono diventate le necessità di Giorgia Meloni di essere fedele al passato ed in rotta con il futuro. C’è il presente, nella vita politica di Fratelli d’Italia ed è un presente che porta dritto ad un nazionalismo ormai più di facciata che di polpa.

Chiariamolo subito: non sia mai a sostenere, con tutte le accezioni positive-negative del caso, che in FdI l’identitarismo sia venuto meno. No, è solo che è rimasto nel brodo di coltura della fuffa simbologica, o relegato ad ambiti in cui proclamarlo non fa danno alle rotte maestre. Ed alcuni suoi tratti salienti hanno dovuto abdicare, lasciando campo ad un “praticismo” che sempre più spesso crea cortocircuiti con “quelle destre là”.

Quali destre? Quelle europee e transoceaniche che possono – miserelle – ancora permettersi un nazionalismo spinto in purezza. Ed al punto da essere “nemesi degli amici” e di un fine comune. Oltre che antagoniste fiere dei macrosistemi moderati e conservatori dell’Occidente.

Daniele Maura e le Smart City

Prendiamo le misure in casa nostra e prendiamole ad esempio da un post recente ma non recentissimo del consigliere regionale del Lazio Daniele Maura. Di fatto è un paradigma: “Sviluppo, innovazione e sostenibilità ambientale. Ne abbiamo parlato oggi ad Isola del Liri al partecipatissimo convegno organizzato da Gioventù Nazionale ‘Smart city la città del futuro’. Complimenti a Luca Fiorletta e a tutti i ragazzi di GN, la nostra meglio gioventù”.

Capito la combo? Da un lato c’è la chiosa di lessico identitario, con Gioventù Nazionale alias la “meglio gioventù”, ma subito prima c’è stato il tema green delle smart city. Tema poi ripreso da altra angolazione quando Maura ha partecipato ad una kermesse sul dissesto idrogeologico. Il rilievo è molto meno ovvio di quanto non sembri: il dato è che Fratelli d’Italia si sta trasformando e lo sta facendo al punto tale che essere di destradestra gli va stretto.

E non perché certi temi della destra in purezza non siano appannaggio, ma perché quei temi e il concomitante bastone del comando a livello regionale e nazionale presuppongono un approccio molto più “medium” alla politica concreta.

L’approccio “pragmatico” che piace a Ruspandini

Massimo Ruspandini, che è deputato vicinissimo alla leader-premier e presidente provinciale di Fdi, ne ha scritto sempre sui social. Una volta abbruciava i libri di Dan Brown, oggi ha colto esattamente nel segno, ed è segno di concretezza raggiunta. “Anche il settimanale britannico ‘The Economist’ plaude all’operato del Presidente Meloni”. Presidente “il cui approccio pragmatico ha smentito categoricamente le accuse strumentali degli scettici e delle opposizioni”. Eccolo, il segreto: “approccio pragmatico”. Il Partito più ricco di identità del panorama politico nazionale sta benevolmente barattando la sua ricchezza con il pragmatismo, lo sta facendo bene e fa benissimo.

Anche perché quando poi Fdi prova a metter cappello su questioni di appetibilità ideologica come la protesta degli agricoltori ti vien fuori un Matteo Renzi che ti bastona e ti scopre il bluff delle tasse su quel settore volute proprio “da Meloni e Lollobrigida”. Perché per i sistemi di consenso come Fratelli d’Italia il vero male non è stare un po’ più a valle di dove si era stati finora, ma restare esattamente dove ci si era incistati prima di andare a governare.

Oggi conviene stemperare se stessi in un immenso calderone di soluzioni mediate ma necessarie. Claudio Cerasa con queste analisi ci sa fare come pochi, e l’ha messa giù molto bene, su Il Foglio. “Quando si ragiona sul futuro di Giorgia Meloni viene spesso naturale chiedersi quali possano essere, di qui ai prossimi mesi, i grandi ostacoli presenti sul suo percorso politico”.

Dove stanno i veri nemici della premier

Giorgia Meloni

Già, dove stanno i veri “nemici” di Giorgia Meloni? Nelle sinistre prog che la avverseranno alle Europee, nei moderati liberal del Ppe o paradossalmente “a casa sua” in senso ideologico? Non c’entra tanto la sbandierata (ed a volte oggettiva) debolezza delle opposizioni che se non sono antifasciste semplicemente “non sono”.

No, qui il problema è più sottile. Ed è quello per cui Meloni se la rischierebbe esattamente se decidesse di andare in scia con una concezione della destra che in molti hanno proprio in quell’Europa dove lei punta al 30%. Le trappole su cui un eccessivo identitarismo andrebbe a fare la molla di tagliole sono tante, ma finora sotto traccia. L’Europa unita sarà pure una mezza matrigna, ma comanda su molte cose e su moltissime può far male assai.

Cerasa spiega: “L’economia? Finora, Giorgia Meloni ha camminato sul velluto e nei suoi primi quindici mesi di governo, su questo fronte, non vi sono stati problemi”. Chi deve investire non ci ha visti poi messi così male, il debito pubblico è rimasto quel che era, cioè Leviatano, ma senza particolari upgrade. E ancora: “La crescita del 2023 è stata superiore al previsto (di tre punti decimali), l’occupazione ha raggiunto livelli da record (anche se i salari non sono aumentati come avrebbero dovuto). Persino le borse hanno toccato numeri da record”.

La baracca che tutto sommato regge

Matteo Salvini

Opinabilità a parte di alcuni aspetti dell’analisi del direttore de Il Foglio il quadro di insieme regge. Giorgia Meloni sta messa molto meno male di quanto non sembri nel presente e se pagherà pegno sarà nel corso di quest’anno. Cioè a bocce ferme per il voto Ue e quando la Germania mostrerà più cocci. Anche al netto della paccata di miliardi che incasserà (assieme a Leonardo) per averci venduto i suoi Leopard 2A/8 Mbt (Main Battle Tank) per farci tornare meccanizzati e 2.0. Dove sta dunque la X dell’equazione per la premier? A destra, cioè esattamente nel campo “amico” che così amico non lo è più da tempo, campo interno ed esterno.

Matteo Salvini è quello che spinge di più e meglio (in senso funzionale) verso posizioni massimaliste. Sul caso Salis, sul filo spinato a Bruxelles ad accogliere gli agricoltori affamati e su tutto quello che lo apparire un conducator. A giugno per lui potrebbe esserci una Caporetto ed al Capitano ormai conviene guidare sul ciglio del burrone del sovranismo spinto. Gli conviene per far vedere che punta al sorpasso ma è un bluff: quello a cui la Lega può puntare è a restare magari in zona 10% ed ad evitare la cannibalizzazione da parte di Ecr-Fdi.

Ursula mon amour, ma è strategia

La presidente Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen attualmente è la spalla più affidabile della Meloni perché ha le sue mire, anche personali e uno struscione ben orchestrato è la sola cosa da fare. Ma per farla servivano segnali, sintomi per cui la destra italiana potesse essere considerata la destra “meno destrorsa” tra le destre mastine Ue. Meloni in questo senso ha risposto bene, anche se con occasionali ritorni di fiamma e pancia. E il fattore Usa? “L’ascesa di Donald Trump è una minaccia vera che si pone dinanzi al progetto meloniano di creare un partito della nazione, responsabile in Europa, affidabile sulla politica estera, impeccabile sull’atlantismo”.

La prova provata? Quando il tycoon ursino ha menato tutti in Iowa Salvini sembrava un fan di Sinner dopo gli Open in Australia, Meloni no, ed ha taciuto. Che significa? Che Fratelli d’Italia è ormai di destra e di governo e sa benissimo che essere entrambe le cose impone un dazio alle arcigne proclamazioni di sé. A quelle ed ai comparaggi troppo imbarazzanti, per quelli meglio aspettare l’autunno.

Dalla Reno De Medici a Procaccini-jolly

Nicola Procaccini (Foto: Philippe Stirnweiss © EU / EP)

Chi sarà l’uomo forte di Meloni alle Europee per il Centro? Quel Nicola Procaccini che, lui per primo, da capo ultrà è diventato una specie di Mazzarino di Bruxelles, un uomo portato ormai più a mediare che a innestare baionette. Guarda ai prossimi cinque anni a Bruxelles ma stavolta da una prospettiva del tutto diversa: «Decisamente diversa. Oggi guardiamo a queste elezioni, io e Fratelli d’Italia, con uno stato d’animo molto differente da quello di cinque anni fa. Allora eravamo tutti tesi e col timore di non raggiungere il quorum del 4% per far scattare i seggi. Oggi abbiamo la prospettiva di poter essere il primo Partito per parlamentari eletti nel prossimo europarlamento. Ma non ci tremano le gambe, perché il lavoro che abbiamo fatto lo conosciamo, ha dietro tanta gavetta e tanto impegno e passione».

Tornando a noi di Frusinate e Cassinate sulla vicenda Reno De Medici Daniele Maura ha immediatamente messo avanti la soluzione di un’autorizzazione ambientale regionale che è giunta con prescrizioni però non è stata risolutiva, ma almeno era una rotta pratica e non un gargarismo. (Leggi qui: Reno De Medici, la Regione rilascia la soluzione che non risolve).

Non si è buttato a capofitto ed alla giugulare di chi in precedenza alla Pisana non aveva colto il focus del problema e non aveva fiutato i guai in arrivo. Si chiama funzionalismo, cioè una cosa pratica che piacerebbe molto ad uno come Carlo Calenda ma che non è più di suo solo appannaggio.

Pis, Vox e Trump, alla larga per carità

Foto: Marco Carli © Imagoeconomica

E su un piano europeo la sua leader sta dettando la linea: il Pis in Polonia e Vox in Spagna, con il riconfermato Abascal, sono sempre più sparring per post di maniera che sponde per manifestazioni spinte di un melonismo che appare se non sepolto almeno sedato. Quello di Marbella, per capirci. “Meloni ha detto che vi sono distanze incolmabili con partiti come l’AfD”. E soprattutto Meloni non soffre più da tempo della sindrome di Orban, anche al netto del caso sconcio di Ilaria Salis che l’autarca ungherese glielo ha rimesso di fronte all’hotel “Amigo” (sic!) di Bruxelles. Cioè di quella riottosità fisiologica ed un po’ tentennante per cui andare a muso duro contro il leader di Budapest una volta equivaleva ad una mezza sconfessione delle comuni origini mastine.

E’ cresciuta, la premier, ed è cresciuta perché la leader politica un (bel) po’ è cambiata. E chiunque in questa sua metamorfosi ci vedesse un agevole segno di fiacca o una crepa in cui infilarsi per attaccare sbaglierebbe tutto.

Perché nell’additare la debolezza di Meloni indicherebbe esattamente la sua forza. E, se poco poco l’inflazione da qui a giugno scendesse solo ancora di un filino con l’aiuto della Bce, pagherebbe pegno dove si paga più amaro: nell’urna.