Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore
TOP
LUIGI DI MAIO
Ha vinto lui. Nessun altro. Gli altri si sono accodati, perfino Beppe Grillo. Il ministro degli Esteri, da quando non è più il capo politico, è diventato il padrone dei Cinque Stelle. Senza darlo troppo a vedere.
Il Movimento ha approvato la deroga al tetto dei due mandati ai consiglieri comunali e l’alleanza con i Partiti tradizionali per le Amministrative. Dando il via libera alla ricandidatura di Virginia Raggi a sindaco di Roma e preludendo a una rivoluzione che un’ala pentastellata stenta a digerire.
Il sì alla deroga significa infatti il superamento del tetto in futuro anche per i parlamentari e il via libera ad alleanze sul territorio. Ma la cosa più importante sono i numeri. È stato un plebiscito. (leggi qui Addio vecchio M5S: ora si ad alleanze e più mandati).
Su Facebook Luigi Di Maio ha celebrato il suo successo. Scrivendo: «Un grande in bocca al lupo a Virginia Raggi per la sua ricandidatura e buona fortuna a tutti i candidati sindaco che saranno a capo di coalizioni politiche nei Comuni dove correremo per le elezioni del 20 settembre. Da oggi inizia una nuova era per il Movimento 5 Stelle nella partecipazione alle elezioni amministrative».
«Includere e aggregare saranno le vie da percorrere, rispettando e difendendo sempre i nostri valori. Oggi abbiamo scelto di incidere. Oggi abbiamo scelto di provarci. Si riparte ascoltando i territori. Viva il Movimento 5 Stelle».
Ha vinto lui perché ha portato i pentastellati dove voleva lui. Accordi politici e linea di governo. Senza tetto al numero dei mandati. Non è più il Movimento di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Davide Casaleggio è stato respinto con perdite. Tutti gli altri big si sono adeguati in silenzio e mettendosi sull’attenti. Ed è proprio questo ultimo aspetto a rappresentare la grande forza politica di Di Maio. Gli altri lui li mangia a colazione. “Uno vale uno, ma io so’ io e voi non siete un c….”.
Marchese del Grillo a casa di… Grillo.
MAURIZIO MOLINARI
«Venerdì 7 agosto “Repubblica” ha chiesto al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, una conferma della notizia sul bonus Iva percepito da cinque parlamentari. La notizia era arrivata al giornale tramite un’altra fonte la cui identità non sarà rivelata in linea con quanto scritto nel codice deontologico dei giornalisti». La nota del direttore de La Repubblica Maurizio Molinari ricorda (finalmente) a tutti che esiste una stampa libera e con gli attributi. Una stampa che pubblica le notizie dopo averle verificate e che protegge le fonti.
Meno male. C’è un giudice a Berlino.
In commissione Lavoro della Camera, a proposito del bonus di 600 euro, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico aveva detto: «Abbiamo seguito la legge. L’esigenza dell’Istituto era di pagare subito, perché il Paese era in emergenza, e poi controllare in un secondo momento. Abbiamo risposto in modo efficace in 15 giorni, predisponendo una misura che non esisteva».
Specificando: «Il 7 agosto mi chiama il direttore di Repubblica Maurizio Molinari e mi dice: “Abbiamo scoperto che cinque parlamentari hanno percepito il bonus” e mi chiede i nomi».
«Ma i nomi dei politici che hanno preso il bonus non li abbiamo dati. Sono usciti perché si sono autodenunciati. La notizia, pubblicata poi da Repubblica il 9 agosto, non è uscita dal sottoscritto né direttamente né indirettamente. E’ stata una notizia trafugata e io ho già avviato un audit interno».
Notizia trafugata? No. Notizia intercettata da chi ha il compito di fare il mestiere più bello del mondo: il cronista.
La Repubblica ha svelato agli italiani un aspetto “odioso” di quella che purtroppo nell’immaginario collettivo è la Casta. Il bonus Covid è stato pensato per chi è in difficoltà, non per chi guadagna 13.000 euro al mese. E senza il cronista de La Repubblica, nessuno avrebbe saputo nulla.
Quarto potere.
FLOP
LUCIA AZZOLINA
Ma la politica dove sta? Il Governo esiste? La ministra dell’istruzione Lucia Azzolina conta ancora qualcosa? Sì perché il rientro a scuola è previsto tra un mese esatto. Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi (Anp) ha sintetizzato alla perfezione: «Tanto rumore per nulla».
Una reazione a caldo che evidenzia lo stato d’animo di chi si sente in corsa con l’acqua alla gola e con regole che cambiano continuamente. La premessa è: «Ci atteniamo a quanto dicono le autorità sanitarie».
Ha scritto La Repubblica: «Ma l’indicazione del Comitato tecnico scientifico sul fatto che si può scendere anche sotto il metro di distanza, laddove non ci sarà la possibilità di rispettarlo, spiazza un po’ tutti. Il Cts, nelle sue indicazioni a verbale, poi trasmesse dal capo Dipartimento del ministero dell’Istruzione Max Bruschi a tutti i dirigenti scolastici e ai direttori degli Uffici regionali, aggiunge che l’uso della sola mascherina dovrebbe essere una misura temporanea, per dare tempo nel reperire gli spazi e ripristinare la distanza di un metro».
Cioè: basta la mascherina, non serve il metro di distanza. Roba da far saltare dalla sedia un fachiro indiano in meditazione. E la ministra Lucia Azzolina?
Ha spiegato: «Sugli spazi si è fatto molto, ma serve un ulteriore impegno da parte degli enti locali, che sono proprietari degli edifici. Hanno i poteri commissariali per velocizzare i lavori, le risorse per l’edilizia scolastica leggera. E abbiamo dato nel dl agosto ulteriori risorse per gli affitti. La mascherina è fondamentale laddove il distanziamento non c’è. Ma noi stiamo lavorando al distanziamento e continueremo a farlo. Ci sono Paesi europei che dicono: se non hai il distanziamento metti la mascherina e basta. Noi stiamo facendo di più: stiamo lavorando per garantire a tutti il distanziamento».
Chi ci capisce è bravo.
MICHELE EMILIANO
In gioco non c’è solo la Puglia, ma il destino del Governo. L’analisi politica dell’Huffington Post è lucidissima e vera. La premessa è questa: il trionfo in Veneto di Luca Zaia (Lega), la vittoria in Liguria di Giovanni Toti (Cambiamo). In Campania Vincenzo De Luca (Pd) sul velluto, mentre in Toscana il candidato comune Pd e Italia Viva dovrebbe riuscire a vincere. La Valle d’Aosta fa storia a sé e non incide sulle valutazioni politiche nazionali. Restano le Marche e la Puglia.
Nel primo caso è tutt’altro che impossibile una vittoria del centrodestra, ma non di proporzioni tali da far scattare l’effetto domino a Roma. Resta la Puglia.
Scrive l’Huffington: «Michele Emiliano è da oltre un decennio al centro della politica regionale, prima come sindaco di Bari e poi come Presidente della Regione. Carattere importante, stile di governo personale: l’ex magistrato era per molti versi il soggetto ideale per far convergere sulla sua persona i consensi di Pd e M5S».
«Invece non solo questo non è accaduto, ma alla divergenza tra i due principali alleati nel governo nazionale si è aggiunta la dissociazione di Matteo Renzi, con tanto di candidato autonomo (Ivan Scalfarotto), segno della antica ruggine mai sanata tra l’ex premier toscano ed Emiliano. Ma indice anche di un calcolo ben preciso del fondatore di Italia Viva».
E conclude: «Calcolo che ci riporta al punto centrale della questione: la Puglia è l’ago della bilancia, è la regione di Giuseppe Conte (non casuale l’annuncio proprio da quelle parti dello studio di fattibilità del tunnel sotto lo stretto di Messina) che si è speso senza successo per trovare un accordo (come raccontano i ben infornati di cose pugliesi), è il laboratorio volutamente mancato di un accordo PD-M5S-Italia Viva. Insomma se sarà Emiliano a prevalere la verifica di governo si farà comunque, ma con una posizione più forte del premier. Se invece sarà Fitto il nuovo governatore ecco che la verifica si farà più cattiva e profonda, quindi senza posti garantiti per nessuno (nemmeno a Palazzo Chigi)».
Michele Emiliano non è che stia aggregando il centrosinistra, anzi.
Tutto sulle sue spalle e rischio capro espiatorio.