Pratico perché abituato ai numeri e a volte ruvido, il sindaco di Cassino parla del futuro politico e dei retroscena del passato. Il distacco da Petrarcone. la riunione in cui si decise che il candidato doveva essere lui. L'incubo del Covid. E chi voleva cassino Zona Rossa. Un carattere difficile. Al punto che lo chiamano Pitbull
Di professione fa il commercialista, per passione si occupa di politica. Per anni è stato al fianco delle amministrazioni. È stato la spina nel fianco di quelle di colore contrario. Da un anno esatto fa il sindaco, ruolo a cui ‘venne costretto’ dal vecchio gruppo che si era affilato i denti all’opposizione di Piazza De Gasperi. È arrivato il momento di domandare se ne valesse o meno la pena ad Enzo Salera.
Un anno da sindaco: era come se lo aspettava?
«Quando le cose si fanno per passione ne vale sempre la pena. Fare il sindaco di Cassino è qualcosa di estremamente difficile, lo si capisce solo facendolo».
«Ho fatto l’assessore in un ruolo difficile, importante, complicato. E in un periodo difficile per la situazione finanziaria dell’ente. Tuttavia fare il sindaco è una cosa estremamente più gravosa».
Un anno fa c’erano tre nodi su tutti. Il primo: il Pd accusato di non avere fatto la sua parte fino in fondo.
«Purtroppo il Pd a Cassino non è mai riuscito ad avere unità, soprattutto sui candidati sindaci. Questo è avvenuto anche l’anno scorso, nonostante fossero state celebrate le primarie. Primarie che per chi appartiene ad un Partito devono essere qualcosa di sacro. E il giudizio del quale va rispettato. Parliamo di una logica di appartenenza ad un Partito che ha una lunga tradizione democratica, in cui chiunque deve rispettare l’esito delle primarie. Questo non c’è stato invece, e purtroppo per loro, perché il Partito ha continuato ad andare avanti e ad amministrare questa città. Credo che l’aspetto più importante sia proprio questo».
Chi salvò la situazione: De Angelis, Buschini o Astorre?
«Credo che l’intervento di Astorre, come Segretario regionale e quindi con un ruolo istituzionale, sia stato molto importante. È stato un intervento necessario per porre fine a contrasti che non ci portavano da alcuna parte. De Angelis e Buschini hanno rispettato i loro ruoli, cioè si sono tenuti da parte. Per evitare ingerenze su alcune scelte, e credo che questo sia stato un dato altrettanto importante».
Ha rifiutato etichette, sia da Pensare Democratico di Francesco De Angelis che da Base riformista di Antonio Pompeo: vuole fare una terza via?
«Assolutamente no. Sono sempre stato convinto del fatto che all’interno del Partito ci sia bisogno di una convergenza. Si può discutere su tutto ma alla fine, quando arriva il momento delle scelte si deve essere uniti. Il discorso delle correnti non mi è mai piaciuto. Faccio riferimento ad un gruppo ma credo di mantenere una certa indipendenza. Proprio per calibrare scelte nell’interesse generale del Partito e nell’interesse amministrativo generale della città».
Zingaretti è un buon segretario di Partito?
«Si, ottimo amministratore e buon Segretario. Sta vivendo una stagione difficilissima. Per chiunque sarebbe stato difficile governare un Partito. Ed essere costretti per senso di responsabilità a fare un’alleanza di governo con chi è stato il principale nemico del PD».
Secondo nodo: pezzi del Partito candidati con gli avversari. O che non si sono candidati affatto nonostante gli impegni; Luca Fardelli quanto resterà in purgatorio e Sarah Grieco ha qualcosa da farsi perdonare?
«Non sono decisioni che spettano a me, ci sono organi di Partito che decidono e lo faranno al momento opportuno su queste persone e le loro scelte. Così come sono stati liberi di fare scelte, nel caso ci fossero rilievi, poi dovranno assumersi anche la responsabilità di averle fatte».
Amicizie in frantumi: la questione ormai non è più politica ma personale.
«È soprattutto una questione politica. Ovviamente poi quella ha portato conseguenze sul piano personale. Però tutto avviene per motivi politici. E non solo con me, ma con un gruppo che è stato vicinissimo. Noi eravamo una squadra, un gruppo di oltre 15 persone che dal 2011 al 2016 si è preso la briga e il grande compito di amministrare una città in condizioni difficilissime. Condizioni forse anche peggiori di come l’abbiamo trovata adesso. Tutto quel gruppo nel corso di una riunione ha fatto la scelta di stare da questa parte, l’unico che ha preso una strada diversa è stato lui. Scelta personale che io rispetto, però da qualche altra parte è andato lui, non certo noi».
Lei a quella riunione non entra da candidato sindaco. Quando si apre quell’incontro fra amici è perché è caduta l’amministrazione di centro destra guidata da D’Alessandro. Cosa è accaduto?
«Io ero uno di quelli che dopo la caduta ha cominciato subito a lavorare per la costituzione delle liste a sostegno di Petrarcone. Il candidato doveva essere lui ed io lavoravo per quello. Abbiamo avuto una difficoltà all’interno di quello stesso gruppo in cui la maggior parte dei candidati consiglieri ed assessori ha cominciato a dirmi di no. Allora abbiamo convocato una riunione e da lì è nato un confronto da cui è emersa la necessità di fare scelte diverse».
«Non direttamente sulla mia persona ma scelte diverse che coinvolgessero anche altri nomi. Soprattutto emerse la volontà di individuare le Primarie come percorso attraverso cui designare il candidato sindaco. Io neanche ci pensavo al momento. Poi un gruppo di amici strettissimi, quelli che in quegli anni hanno fatto politica, mi ha chiesto diverse volte di candidarmi. Io ho detto di no più volte, poi alla fine sono stato costretto ad accettare. Costretto perché posto di fronte ad un aut aut: o c’ero io o lasciavano tutti»
Più volte lei ha lanciato segnali di riconciliazione: non sono stati raccolti; ma allora non era amicizia.
«Noi questo dialogo avremmo potuto riprenderlo dal giorno dopo. E da parte nostra c’è stata tutta la volontà, con un grande lavoro per riconciliare questo gruppo. Lo ha fatto il capogruppo del Pd Gino Ranaldi. Purtroppo questi tentativi sono andati più volte a vuoto e qualcuno è venuto meno agli impegni. Non certo noi».
Ora Petrarcone è in opposizione, tra i renziani in Consiglio comunale: è difficile relazionarsi in virtù del passato che divide o della posizione politica?
«Non so renziani fino a che punto. Perché se vediamo la storia politica di queste persone credo ci sia stato quasi tutto l’arco partitico. Quindi non so se renziani per convinzione o per convenzione».
Peeò Zingaretti dice ‘basta Tafazzismo’: alle prossime Regionali il centrodestra ha trovato l’accordo su tutto.
«È una necessità importante ed oggettiva. Io sono uno di quelli che non avrebbero mai fatto un governo con il M5S. Neanche Zingaretti e qualcun altro prima di lui, ma in politica a volte si è costretti a mutare le proprie convinzioni. Tuttavia se noi vogliamo ragionare solo in termini ideologici non arriveremo da nessuna parte. C’è unità da una parte e deve esserci anche dall’altra. Altrimenti si va incontro ad una sconfitta certa. Almeno in questo modo c’è la possibilità di competere con un centrodestra unito che ora proprio perché non governa appare più forte. Perché è più facile urlare dall’opposizione che governare».
La pandemia cosa le ha lasciato dal punto di vista umano?
«E’ qualcosa che ti segna per tutta la vita. Ho avuto momenti difficilissimi. Penso a quella riunione che abbiamo dovuto convocare di sabato sera con Prefetto, Dg Asl, comandante provinciale dei Carabinieri ed altri. Un gruppo che doveva prendere decisioni importanti. C’era chi voleva Cassino zona rossa, fortunatamente abbiamo tenuto duro e poi i fatti ci hanno dato ragione.
Soprattutto siamo riusciti a contenere una psicosi che stava degenerando, anche per colpa dei social e di chi cercava di fare disinformazione su di essi. Io capisco tutte le persone che in quel momento si sentivano spaventate e che chiedevano decisioni forti. Tuttavia avremmo commesso un grande errore».
Si è mai sentito impotente di fronte al virus?
«Si, nel momento esatto in cui abbiamo avuto l’esplosione di oltre 20 casi al San Raffaele. Lì veramente in città si è scatenato il panico. Poi man mano abbiamo continuato ad avere il controllo della situazione. E a capire che mantenendo i nervi saldi i risultati sarebbero arrivati. Purtroppo abbiamo avuto anche noi dei decessi, non c’è stata un’ecatombe come al Nord, ma il dispiacere è anche per una sola persona deceduta».
L’opposizione come si è comportata? C’è stato un momento in cui si diceva non di restare a casa ma di andare in comune a chiedere i bonus per fare la spesa.
«Neanche quello è stato un bel momento. Su certe situazioni non ci sono né maggioranza né opposizione. Bisognerebbe avere tutti una unità di intenti sull’interesse della città. Io non so fino a che punto si è voluto aizzare la gente, non posso pensarlo. Però magari per l’idea di voler dimostrare una visione diversa rispetto alla maggioranza si sono commessi degli errori. Così come magari ne abbiamo commessi anche noi, però alla fine tutto è rientrato e quello che conta è il risultato finale».
L’Alta velocità è un treno da prendere al volo?
«Da prendere al volo ed a rafforzare. Aumentando il numero dei treni che arrivano a Cassino e lavorando a quel progetto a cui adesso crediamo davvero: far diventare la nostra stazione ad alta velocità al 100%. Ora lo è solo al 50%».
Si candiderà a presidente della Provincia?
«Me lo chiedono in molti. In questo momento ho la necessità di amministrare e far ripartire Cassino, il che è impegno molto gravoso. C’è tempo, io non penso mai a quello che accadrà tra qualche anno. Ora assieme a tutto il mio gruppo sono concentrato su Cassino.
Siccome poi a me piace moltissimo condividere le scelte con questo gruppo con cui abbiamo amministrato per quasi 10 anni in maggioranza ed opposizione la scelta la faremo tutti insieme. Questo se se ne ravvedesse la necessità. Io spero di potermi concentrare esclusivamente su Cassino e portare a casa quei risultati che ci siamo prefissati in campagna elettorale. Tutto questo all’interno di questa grande sfida che abbiamo voluto affrontare».
Ma perché la chiamano pit bull?
«Perché forse a volte ho un atteggiamento figlio del mio carattere un po’ ‘forte’. Riconosco di non essere una persona facile. A volte e in alcune situazioni non lo sono. Anche oggi con alcuni dirigenti… Mi piace essere netto. Dire cioè ‘pane al pane e vino al vino’, in maniera decisa. Questo mi dà un’immagine di ritorno che a volte è anche quella della persona aggressiva. Ci sono situazioni in cui bisogna prendere decisioni. Ed anche imporre scelte e farlo in maniera energica».
A casa hanno ringhiato quando gli ha detto: “Mi candido a a sindaco”?
«La famiglia si è spaccata a metà. Una parte era fortemente contraria a cominciare da mia moglie. La mia prima fan invece è mia figlia, che è anche la più piccola. Devo dire che questo mi ha dato coraggio».
Se dovesse fare il pit bull, ai polpacci di chi morderebbe ora?
«Mi piacerebbe mordere su una crisi economica che sta aggredendo tutto il tessuto del Paese. Abbiamo bisogno di un forte choc in economia. Come avvenne dopo la crisi del ’29 con la politica del New Deal. Bisogna trovare denaro pubblico dall’Europa e dallo Stato. Immetterlo nell’economia e far si che le persona possano lavorare ed avere una retribuzione. Quella formula economica riassunta un po’ banalmente dal principio che segue. ‘Se dobbiamo mettere degli operai a scavare buche e un’altra squadra che subito dopo le riempie va bene, purché si crei lavoro’. Oggi la situazione economica è diversa, però quel principio deve rimanere. Noi dobbiamo far ripartire un Paese, un continente e forse il mondo intero. Mi piacerebbe mordere lì».