Il sindaco Natalia guarda ad una competenza che non c'è più. E ad un rapporto diretto con gli elettori. Nel 2014 perse sull'onda del caso Fiorito e dell'antIpolitica. Oggi dopo il Covid si toglie qualche sassolino dalla scarpa e sull'ospedale accusa. Magrini non ha finito quello che Lorusso aveva iniziato. E su green economy e Tav dimostra di saper guardare lontano. Cioè oltre burocrazia e campanilismi.
Daniele Natalia, sindaco di Anagni, vicecommissario provinciale di Forza Italia. Nella vita non si vince sempre. E quando si perde si sfrutta l’occasione: per studiare cosa fare dopo e conquistare la rivincita.
Non confessa una segreta soddisfazione: avere assistito al fallimento dell’antipolitica, quella che alcuni anni fa gli aveva interrotto la scalata al Comune di Anagni ed ai vertici del Partito che all’epoca si chiamava Popolo delle Libertà.
Anzi, soddisfazione doppia: perché oggi i Partiti – dopo essersi asserragliati nei loro palazzi, tagliando i ponti con il mondo eliminando le preferenze – hanno scoperto che per creare consenso hanno bisogno delle ‘prime linee’ degli amministratori.
*
Al primo tentativo di diventare sindaco incassa una sconfitta. Anche le sconfitte sono utili?
«Assolutamente si. Anzi, forse la sconfitta ti dà la determinazione per fare meglio. In particolare la sconfitta del 2014, quando per spirito di servizio ho voluto provare un’avventura che si sapeva perdente. Quella sconfitta ha dimostrato una cosa. Che cioè la politica non è solo vittoria. In politica si vince anche quando si sacrifica la propria posizione per fare esperienza all’opposizione. E poi crescere ed immaginare la futura città di quando si andrà a governare».
Era il momento dell’anti politica. In pieno scandalo dei fondi ai Partiti: in tutta l’Italia ma innescato dal caso in Regione Lazio guidata da Renata Polverini. Poi ci si è accorti che una cosa è fare politica al Bar dello Sport, altra cosa è amministrare un Paese. Stanno tornando i Partiti?
«Si, più che altro io credo che si senta la necessità di tornare alla ‘vecchia politica’. In gergo e con la P maiuscola. Perché oggi domina la burocrazia. E manca la visione prospettica del Paese del futuro. La mia generazione è nata un po’ contestando la Prima Repubblica. Oggi, anche grazie all’esperienza amministrativa ed interfacciandomi con gli enti superiori, mi rendo conto di una cosa».
«Che cioè la qualità della politica è venuta meno. È auspicabile quindi tornare a formare la classe dirigente in modo più specifico. Lo richiede la gente, perché siamo abituati solo a dei flash, a cui ci ha portato anche questo modo di comunicare. A nozioni ed informazioni lampo. Questo quando invece oggi sono richiesti quei bei discorsi che facevano i politici di una volta, sostanziati da verifica e realizzazione».
Nella campagna elettorale della sconfitta ci fu un doppio handicap. Non solo l’antipolitica, ma chi era sinonimo del malaffare era un suo compagno di Partito. Ci fu la corsa politica a scaricare Franco Fiorito. Poi si scoprì che in altre Regioni c’erano problemi ben più seri. Lì i consiglieri regionali avevano usato il denaro pubblico per acquistare mutande, intrattenimenti erotici e benefit vari messi in nota spese…
«Lì all’antipolitica si aggiunse il bisogno di un capro espiatorio. Questo per poter tracciare un solco fra il prima e il dopo».
Il ‘dopo’ che abbiamo oggi è tanto diverso dal ‘prima’?
«Oggi possiamo dire che il dopo è sulla scia del prima, magari in una forma molto più presentabile. Il problema di fondo è un altro».
Quale?
«Che la deriva dei Partiti e di quella classe dirigente ha determinato che anche il problema politico non si inquadrasse nel modo giusto».
Sta dicendo che i Partiti erano fragili e per questo hanno pensato a difendere se stessi mentre avrebbero dovuto affrontare il caso Fiorito in maniera diversa?
«Se il cosiddetto Laziogate fosse avvenuto in altri tempi i vertici dei Partiti si sarebbero seduti a tavolino. Ed avrebbero denunciato pubblicamente, in modo assolutamente sincero, gli errori gestionali. Invece era il periodo dell’antipolitica e della spettacolarizzazione del negativo. Elementi sulla scorta dei quali i giustizialisti tipo i Cinquestelle, hanno avuto gioco facile».
Oggi lei è sub commissario provinciale di Foza Italia. I Partiti hanno ancora la stessa funzione di prima o hanno perso una parte del loro ruolo?
«Purtroppo come dicevo lo hanno perso. E il ruolo che oggi rivesto ne è proprio l’esempio. Oggi i Partiti stanno puntando molto sui sindaci o su chi è in prima linea. Perché avendo perso la struttura che permetteva il dialogo con i cittadini devono far tesoro del ‘front office’. E oggi il front office è l’amministratore. Colui cioè che parlando quotidianamente con i cittadini può riportare al partito la linea politica di intraprendere».
Togliere la preferenza allora è stata una fesseria: obbligava voi e i livelli superiori a rispondere alla gente.
«Togliere la preferenza per me è stato un errore di fondo. Perché quella mancanza di rapporto ha determinato un distacco».
Daniele Natalia perché è rimasto in Forza Italia? Per calcolo di spazio disponibile o per convinzione politica?
«Io non ho fatto quasi mai calcoli, se non quelli strategici. Quelli se non si fanno vuol dire che non si è appassionati di politica. Io sono entrato in Forza Italia credendo in quei valori, valori a cui credo tutt’ora. Di un partito moderato, che dialoga, che riesce ad avere una visione coraggiosa del futuro. tuttavia che lo fa rispettando ancora dei principi di tradizione. Questo oggi mi ha portato ad essere ancora più convinto di una cosa. Che cioè il centrodestra debba avere anche necessariamente una parte che possa dialogare con l’avversario in un modo magari meno ‘energico’. Perché il dialogo rimane il fattore determinante di ogni rapporto politico».
Fratelli d’Italia sta mettendo in evidenza il suo aspetto più umano. Vi stanno attaccando proprio al centro?
«No. Io vengo da Alleanza Nazionale. Le mie prime esperienze politiche sono state in quel Partito, e sono stato assolutamente bene lì, era ancora la politica dei ‘vecchi tempi’ quella. Fratelli d’Italia, con cui ho squisiti rapporti personali e politici, sta semplicemente facendo quel salto di qualità che fino a qualche tempo fa non c’era. Questo un po’ perché animati da quella veemenza politica che un partito più a destra puo’ manifestare all’esterno. Però hanno intelligentemente capito che bisogna comunque aprirsi. Apertura che fino a qualche anno fa magari poteva essere un tabù».
Com’è Claudio Fazzone come coordinatore regionale?
«Fazzone è una persona intelligentissima, dal punto di vista politico e dell’esperienza di vita. E’ una persona che sta valutando attentamente l’evoluzione della politica, non solo regionale, ma anche nazionale. A volte sembra una persona ‘in disaccordo’, puo’ apparire uno che va contro corrente. Poi invece nella sua regia mette comunque tutti d’accordo. Questo perché è una persona con alle spalle capacità e cultura politica che non gli fanno fare errori».
E Gianluca Quadrini?
«Con lui ho un rapporto squisito. Questo perché poi quando fai politica con le persone per tanti anni inevitabilmente subentra un rapporto di amicizia. Il mio giudizio su Gianluca è quindi un po’ falsato. Perché lui è una persona politicamente capace. E lo ha dimostrato al di là della collocazione partitica».
In che senso?
«Ricordiamo gli 8000 voti che Quadrini ha ottenuto alle Provinciali: non vengono dalla politica, ma da quel rapporto personale che costruisci giorno per giorno, non certo a tre mesi dalle elezioni. Dal punto di vista politico a volte è un po’ ingombrante, cosa che io gli dico in faccia. Forse per la sua mole, a voler fare una battuta. Dico cioè che a volte il suo modo di fare, la sua iper capacità di coinvolgere lo rendono un dominante. Poi però basta sedersi a tavolino, non quello culinario ché lì è imbattibile, per trovare la quadra».
Chi ha fatto appassionare Daniele Natalia alla politica?
«Ho iniziato a fare i miei primi passi all’università. Le mie prime esperienze politiche di attività le ho fatte con il mio amico Franco Fiorito».
Che tipo di attività facevate?
«Frequentavano le sezioni, tutti i convegni con cui le associazioni di destra legate ad AN cominciavano ad uscire allo scoperto. Andavamo a fare manifestazioni, seguire comizi e svolgere attività anche formative. Perché si faceva ancora formazione, con seminari e progetti di studio che secondo me sono serviti. Serviti a farmi avere una visione politica della vita».
Com’era lo studente universitario Franco Fiorito?
«Franco è una persona intelligentissima, uno che non ha mai avuto problemi a centrare un obiettivo. Era sempre un po’ pigro, all’università i suoi tempi erano sempre molto comodi. Però poi i risultati erano quelli che erano e quindi gli si perdonava anche la pigrizia».
Ma pensavate che appassionandovi così uno sarebbe diventato capogruppo in Regione e l’altro sindaco della città?
«Assolutamente no. Quando abbiamo cominciato, parlo per me, non c’è stata mai l’aspirazione a rivestire un ruolo. Essa è maturata quando informandomi, crescendo culturalmente, ho capito che si possono cambiare le cose. Come? Non solo parlando, ma mettendoci la faccia e scendendo in campo in prima persona. Lì mi è cominciata a venire voglia di avere un’esperienza amministrativa. Partendo al mio contesto e dal mio comune mi dissi che poteva essere cosa buona».
Durante la pandemia si è giocato la carte per tentare di riaprire l’ospedale, cercando di farlo facendolo diventare centro post Covid, ma non è andata a segno.
«Vorrei specificarla un po’ meglio questa vicenda, perché è un nervo scoperto che però mi stimola. Ho iniziato a dialogare con l’allora DG Asl il dottor Lorusso e sinceramente dico che c’è stata un’apertura vera. Prima del lockdown avevamo pianificato una serie di percorsi soprattutto per garantire l’emergenza. Le cure specialistiche potranno anche essere fatte a 300 chilometri da dove vivi. Tuttavia se hai un problema al cuore o un incidente si deve poter intervenire in tempo reale».
«Lorusso mi aveva garantito questo tipo di attenzione, anche in accordo con Ares 118. Avevamo dunque dei progetti. Poi, durante la pandemia ho dato formale disponibilità a recuperare una parte dell’ospedale di proprietà comunale. Mettendo dei nostri fondi cioè per ristrutturarlo. Avevo trovato 5 aziende disposte a dare dei respiratori per fare quanto meno la sub intensiva. Questo riattivando l’Utic, l’Unità di Terapia Intensiva».
«Oggi la città sarà anche disastrata, ma la Sanità è stata un fiore all’occhiello di Anagni per anni. Non voglio parlare degli anni ’70, ai tempi del professor Cucchiara che ad Anagni operava. Ma anche fino al 2003, quando inaugurammo con l’allora governatore Storace le nuova sale operatorie e l’Utic».
«Era un reparto all’avanguardia, dove si facevano operazioni particolari per un tumore alla vescica. E veniva gente da tutta Italia, con l’equipe di Turriziani, Roiati e Caponera. Poi è stato smantellato con il Decreto Polverini».
«Tutte le colpe sono ben identificate. Però è pur vero che se c’è una colpa iniziale ce n’è anche una colpa finale. Quella per cui dal 2012 al 2020 non abbiamo richiesto il reparto di Urologia, Otorino o altro. Abbiamo chiesto di migliorare l’Emergenza. Lorusso era su quella direzione. A quel punto io mi sono assolutamente fidato perché si era programmato. Il mio cambio di rotta è avvenuto perché nonostante Covid questa sorta di miglioramento non è andato a buon fine». (leggi qui Orfano di Lorusso, Natalia cambia strategia sulla Sanità).
«Poi, arrivata la dottoressa Patrizia Magrini come direttore generale facente funzioni, i medici, non la politica, mi hanno detto cose. Che cioè sta togliendo questo servizio o quest’altro. Allora ho preso carta e penn ed ho minacciato di denunciare tutto alla magistratura. Perché non puoi venire a ribaltare quel percorso che per un anno e mezzo abbiamo seguito. Adesso se la Magrini si siede a tavolino e mi continua il progetto di Lorusso, Daniele Natalia tornerà il moderato che è. Altrimenti ci sarà una dura battaglia.
«Le elezioni sono fra 3 anni, non è campagna elettorale. È veramente volontà di ottenere un cambio di rotta. Mi auguro che tutte le persone che mi hanno contestato eccessiva moderazione nell’approccio con il dottor Lorusso facciano una cosa: che invece di scrivere o parlare siano al mio fianco a sostenere la battaglia».
Quando stava finendo la Fase uno lei già pensava alla Fase 3. Diceva di voler iniziare a creare le condizioni per far tornare le fabbriche a produrre e per farne arrivare altre. Di lì a poco è accaduto. Fa il mago? (leggi qui Dopo Covid-19, «La mia città green, smart, produttiva: nessuno provi a fermarci»).
«Io parto dal presupposto che un territorio può essere considerato libero se non ha problemi di disoccupazione. È vero che noi stiamo sviluppando un progetto turistico utile a dare respiro. Tuttavia bisogna fare collateralmente altro. Dare cioè possibilità agli imprenditori di allocarsi nella nostra zona. Chiaramente facendolo nel rispetto delle regole. C’è chi mi accusa di essere troppo aperto all’economia: non si sbaglia. Io sono aperto a tutte le forme di economia che possono dare ricchezza al territorio».
«Noi abbiamo i vincoli di un area Sin, sito di interessa nazionale per l’inquinamento accumulato. Sto scrivendo in proposito al ministro dell’Ambiente. Lo sto facendo per mettere fine a quell’assurdità di vincolo che sta impedendo non solo a chi deve arrivare, ma anche ai presenti, di poter andare avanti».
«Un inciso. La Catalent è un’impresa farmaceutica che ha rilevato l’ex Bristol Meyer-Squibb. In questi giorni c’è stato l‘annuncio ufficiale che Catalent produrrà un vaccino Covid. La Catalent doveva fare investimenti di adeguamento. E si sono dovuti inventare una cosa, dialogando con il Comune alla ricerca di soluzioni. Cioè quasi un ponte aereo per far passare le persone. Perché? Perché ad Anagni, se Catalent avesse voluto creare una stanza 10×10 e necessitava di uno scavo di 30 cm nel sottosuolo, la pratica era considerata Sin. E sarebbe stata bloccata chissà quanti anni.
«Parliamo di uno stabilimento già in funzione eh? Nonostante questo, il vincolo Sin avrebbe determinato che magari Catalent quell’intervento lo facesse fra un anno. Ma l’imprenditore oggi può aspettare i tempi della burocrazia? No. Ecco dunque che lì magari c’è stata la possibilità di trovare una soluzione. Altre società ed altrettanto importanti, che devono necessariamente ampliare, combattono da mattina a sera con il Sin».
«Noi abbiamo avuto forza, volontà e anche un po’ di sfacciataggine di ideare un percorso alternativo: la ditta mi dà tutta la documentazione ed io come ente la invio al ministero. Dopo 90 giorni e se il ministero non mi risponde io rilascio il permesso a costruire. Ma questo non è il superamento definitivo del problema, è un escamotage per accelerare. O per stimolare ministero e persone preposte a fare osservazioni. Perché altrimenti ci sono ditte, anche multinazionali, che hanno inviato pratiche che sono rimaste 2,3,4 anni nei cassetti del ministero. Questa è un’assurdità che io voglio superare».
Lei è stato il primo a gettare l’ipocrisia alle ortiche. Dicendo che è una follia mandare i nostri avanzi di cucina fuori provincia, pagando qualcuno che poi ci ricava soldi e metano da riscaldamento. E i sindaci degli altri comuni hanno detto che ha ragione.
«Certo, e questo è uno degli esempi di cui parlavo prima. Non è pensabile che oggi debbano spaventare certe cose. Cioè cose riguardanti attività produttive che sulla carta e nel passato hanno avuto gestioni non ottimali».
«Se trattato nelle dovute forme e da imprenditori con capacità finanziarie ed etiche, l’organico è una ricchezza. Perché oltre ad abbassare notevolmente i costi per la raccolta dei Rsu, con ricaduta positiva sulle tasse, determina la produzione di biogas. Io già ho immaginato, vedendo i risultati delle analisi sull’aria nel periodo Covid, che una sensibilizzazione all’uso del biogas determinerà un miglioramento ambientale netto. E lo farà anche in rapporto alle biomasse, tipo stufe a pellet ed altro. E’ quindi più logico e proficuo fare discorsi sull’ambiente attraverso processi industriali. Questo anziché dire no a futuro ed evoluzione delle produzioni».
La fermata Tav cosa porterà ad Anagni?
«Benessere. Ma non solo ad Anagni, bensì a tutto il territorio provinciale. Un benessere doppio. Innanzitutto l’accessibilità a luoghi storicamente e culturalmente ben conosciuti all’estero. Forse più di quanto non li si conosca noi. Il tutto perciò con un incremento turistico notevole. Poi la cosa più intelligente che per me dovrà essere pubblicizzata è un’altra. Cercare cioè di intercettare quelle migliaia, se non milioni, di persone che vivono a ridosso della grande città».
«Parliamo di Roma e di persone che vivono fuori dal raccordo. Persone che pagano 4000 euro a mq per comprare una casa. Abitazione che la mattina costringe ad un’ora di fila sul raccordo. Persone che invece come alternativa vengono in Ciociaria, ed io spingerò per Anagni. Lì, a 2000 euro al mq, ti fai la casa più bella del mondo e in 28 minuti sei al centro di Roma. Con qualità della vita migliore, servizi migliori e meno stress. Ecco dove ci sarà il futuro, anche da un punto di vista immobiliare».
Fiuggi rinascerà? E se dovesse accadere, Anagni ne gioverebbe?
«Io sono un tifoso si Alioska Baccarini, e lo dico al di là dell’amicizia. Perché è un sindaco capace. Sindaco che ha avuto la visione di immaginarsi una Fiuggi diversa che punta sulle sue eccellenze. Vale a dire turismo, termalismo e tutto ciò che vi ruota intorno. Ha avuto anche la ‘fortuna’ di vedere oggi imprenditori molto interessati allo sviluppo di wellness e lusso, che a Fiuggi trainano molta economia. E con lui siamo quotidianamente in contatto. Perché io ho sempre detto una cosa. Che cioè la potenzialità ricettiva di Fiuggi unita alla cultura offerta dai nostri monumenti di Anagni sono connubio indissolubile.
«Anche geograficamente Anagni e Fiuggi, unite da questo filo, necessariamente si portano appresso tutti i paesi che affacciano sull’Anticolana. Paesi con le proprie eccellenze e peculiarità. come la strada del vino Cesanese. Tutti questi comuni hanno qualcosa da offrire E secondo me Fiuggi puo’ essere anche dal punto di vista ricettivo il ‘baricentro’ di questi turisti che si allargano in Ciociaria».
La partita per le Regionali se la gioca Daniele Natalia?
«Lo dico con sincerità: Daniele Natalia è stra felice di fare il sindaco di Anagni. Certo, in futuro mi piacerebbe vedermi fare un salto di qualità. Ma rinunciare oggi alla poltrona da sindaco no. E spiego perché. Perché io ho fatto un patto con gli anagnini. Quando avrò portato a termine quel patto, e lo farò, allora forse potrò pensare ad altro. Farlo oggi sarebbe tradire chi ha scritto quel nome convintamente investendo su di me».